sabato, novembre 11

"OSAMA" Aula 3 Piazza Scaravilli ore 20.30 Venerdi 17 novembre


Film-denuncia sulla condizione delle donne a Kabul sotto i Talebani. Triste e intenso, il film di Barmak ha vinto un Golden Globe ma non la candidatura all'Oscar.


Prima la chiamavano Maria ed era una ragazzina di 12 anni. Poi, perché potesse sopravvivere al regime crudele e insensato dei Talebani, hanno deciso di travestirla da maschio e di chiamarla Osama. Ma tutto ci? non servir?: Maria/Osama dovra' crescere in fretta e imparare presto l'orrore che porta con se' ogni dittatura, anche religiosa.E' molto bello il film di Siddiq Barmak, vincitore di un Golden Globe e di una menzione speciale a Cannes nella Quinzane des Realisateurs, ma, come potete immaginare, anche molto triste. Di quella tristezza che lascia sgomenti, che fa montare la rabbia, fa urlare la mente e la ragione. Perché, se ingiustizia deve essere, a capitarci dentro per primi debbono essere sempre le donne (e i bambini)?. Dur? sei anni il regime dei Talebani in Afghanistan - dal 1996 al 2002 - , e Osama ne narra le barbarie, le feroci persecuzioni, le atrocit? psicologiche. Girato a Kabul nel novembre 2002, le riprese hanno richiesto 42 settimane di lavoro, terminando a marzo 2003 a Kabul City, periferia della capitale. Una pellicola importante, la prima della nuova era afgana e debutto di Barmak (Circle, Wali, Stranger, Billiard) in veste di produttore di lungometraggi. Pensate: in tutta la storia del cinema di questo paese, Osama ? il 43° film. Mentre nella vicinissima India, nella ormai celebre Bollywood, se ne realizzano tre al giorno... Protagonista del film ? Marina Golbahari, oggi quattordicenne. "Ho faticato moltissimo a trovare le attrici - ha spiegato Barmak - perché comunque il terrore ? rimasto dentro di loro e le donne hanno ancora paura ad agire in un modo non accettato dagli ex fanatici. Ho fatto provini a oltre 3300 bambine e bambini, ho cercato Osama negli orfanotrofi, nei villaggi, nei campi profughi, ovunque. Poi, un giorno per caso, ho incontrato Marina per la strada, stava chiedendo l'elemosina. Le ho chiesto se avesse voluto partecipare al mio film, mi ha risposto che non capiva bene cosa fosse un film, non aveva mai visto la tv, ovviamente non sapeva cosa fosse il cinema. Mi ha raccontato che tante volte era dovuta scappare alla vista dei Talebani e che non era potuta andare a scuola. Cosa fa ora Marina? Frequenta la 4° elementare, ha vinto un premio come attrice, le hanno chiesto di partecipare gi? a un terzo film e si ? comprata una casetta per se' e la sua famiglia. In tutto, 14 persone". "Dateci lavoro, non vogliamo fare politica, abbiamo fame". Tanti cartelli, un mare di veli azzurri, decine e decine di donne in marcia lungo stradine sterrate e fangose. Le immagini si aprono cos?, su una manifestazione di vedove costrette a scendere in piazza perché non sanno pi? come procurarsi da mangiare: i loro mariti, padri e fratelli sono morti in guerra, e alle donne ? vietato uscire di casa senza un uomo che le accompagni. La repressione degli invasati religiosi sar? senza appello. Ecco allora che, nella disperazione, la mamma e la nonna di Maria decidono di vestirla da maschietto e di chiamarla Osama: sar? lei ora, lavorando alle dipendenze di un lattaio, a portare in casa un po' di cibo visto che i talebani hanno chiuso anche l'ospedale dove lavorava sua madre facendole perdere l'impiego. Ma le cose non dureranno a lungo. Condotta insieme ai ragazzini del quartiere alla scuola religiosa "Madrassa", anche centro di addestramento militare, Osama viene per? scoperta e messa in prigione in attesa di essere giudicata dal tribunale giudiziario talebano. In casi come il suo, ? prevista la lapidazione. Ma Osama ha solo 12 anni e viene "graziata": andra' in sposa ad un vecchio bavoso che la condurr? nel suo Harem...La mano di Barmak ? ferma, le immagini sono limpide, le sequenze ben costruite. Bravissima Marina/Osama, e cos? anche il suo amico (Arif Herati), sua madre (Kwaja Nader), la sua affettuosissima nonna (Zubaida Sahar) e le decine di disciplinate comparse. Luminosa e pulita la fotografia (Ebrahim Ghafuri). Ma ? naturale che la forza di film come questo - ispirato a storie vere, come spesso in quelli di Makhmalbaf o Kiarostami - risieda nella denuncia di un mondo forsennato e disumano cui lo sguardo deve posarsi a tutti i costi perche' certe dissolutezze non debbano mai piu' accadere. E tutto sommato, sarebbe auspicabile che la lente della storia, ora, aprisse il suo sguardo anche a quelle tragedie dimenticate, di cui nessuno parla mai. Cosa sta succedendo in Congo? E in Sudan? In Ruanda, in Angola, in Burundi, in Algeria, in Uganda, in Liberia... cosa sta succedendo a quelle donne e a quei bambini?. Il film e' distribuito da Lucky Red e, purtroppo, non ? riuscito a strappare la candidatura all'Oscar nonostante le favorevoli previsioni.